venerdì 29 e sabato 30 luglio
Probabilmente la notte più alta della nostra vita…
Oggi ci siamo aggregati a un tour per arrivare a Taquile dove noi ci fermeremo per passare la notte ospiti di una famiglia del luogo, ma con l’accordo che all’indomani ritorneremo a Puno con il rientro di un altro gruppo.
L’isola di Taquile é a 35 km. da Puno e per arrivarci ci vogliono più di 3 ore di navigazione.
Tutti i tour che vanno a Taquile prevedono una sosta alle isole Uros, la navigazione fino a Taquile dove in teoria si arriva intorno alle 12.30, il giro dell’isola di corsa, percorrendo il sentiero che sale fino alla cima della montagna toccando i 4100 mt., il pranzo con trota e riso, e la discesa nel versante opposto dell’isola fino al porto dove attende la barca per rientrare a Puno per le 18.00.
Noi questa soluzione l’abbiamo scartata a priori perché fare un touch and go in un luogo così particolare non ci interessava, perciò tramite il sito di booking.com abbiamo prenotato una camera in una casa di una famiglia locale.
Già prima di partire vado in fibrillazione: l’appuntamento in hotel con la persona che ci doveva accompagnare fino al porto é alle 7 ma non arriva nessuno fino alle 8.15…
Subito capiamo di aver sbagliato ad aderire a questo pacchetto, se prendevamo un risciò per 2,5 soles fino al porto e da lì il trasporto pubblico come abbiamo fatto ieri, andavamo via tranquilli senza ritardi e senza intoppi, solo che l’unica barca che alla mattina va a Taquile parte alle 6.45 e noi per pigrizia abbiamo voluto evitare, per quanto possibile, la levataccia.
La sosta alle isole Uros prevista di circa 30 minuti invece si è protratta per oltre un’ora… Infatti oltre ad assistere alla spiegazione di come sono costruite le isole galleggianti, hanno danno la possibilità a chi lo voleva di fare un giro con la “mercedes”, la tipica barca in canne di totora con il baldacchino, fino all’isola “ristorante” dove ci sono i vari “negozi” per l’acquisto dei prodotti di artigianato fatti dalle donne locali.
La navigazione da Uros a Taquile dura circa 3 ore e una volta sbarcati, per arrivare nella piazza principale dell’isola bisogna percorrere un sentiero molto ripido con un dislivello di circa 200 metri.
Nell’isola non ci sono né macchine, né motorini, né teleferiche nè asini e gli abitanti trasportano a spalla giornalmente, su e giù per questi sentieri tutti i prodotti di uso quotidiano per loro e per i turisti che ospitano nelle proprie case, comprese le cassette con le bottiglie di acqua o le bombole del gas che arrivano con le imbarcazioni da Puno.
Il centro del paese è quasi in cima alla montagna e la vista che si gode dalla piazza é fantastica: il lago Ticaca, di un blu strepitoso é enorme. Sembra di essere su un’isola greca in pieno Mediterraneo di fronte però ci sono ghiacciai della Cordigliera Real boliviana.
Per fortuna la nostra casa si trova a metà montagna ma arrivarci non è facile ci sono sentierini ovunque e la casa che dobbiamo raggiungere ha come unico riferimento, che ci é stato indicato, una bandiera sul tetto…
Siamo comunque a 4000 metri e a differenza loro… io la fatica in salita la sento tutta…
Quando arriviamo troviamo altri 6 italiani che con “Perù responsabile” un tour operator italiano, stanno già mangiando e ci uniamo a loro.
La camera direi è un po’ spartana: muri di terra cruda, un tavolino con una sedia, il letto nell’angolo appoggiato al muro e un pezzo di guaina per terra per non mettere i piedi sulla paglia che funge ovunque da pavimento. Le lenzuola però sono pulite e ci sono un mucchio di coperte perché, ci avvisano, di notte fa freddo, probabilmente andremo intorno a zero gradi o forse anche meno e non c’è né corrente, né tantomeno riscaldamento.
Il punto forte però è il bagno: fuori, dietro alla casa c’è un lavandino con uno specchio, alle spalle, inglobati nella casa, ci sono due gabinetti di cui uno con doccia e a fianco del lavandino due serbatoi di acqua da utilizzare dopo l’uso del gabinetto.
Nell’isola non c’è l’elettricità, come la intendiamo noi, solo qualche pannello solare e neanche l’acqua corrente. L’acqua viene portata su dal lago ma non ho capito bene come.
Dopo il pranzo con Ines, la padrona di casa e gli altri italiani saliamo prima alla piazza principale dove ci sono delle danze per la festa del patrono, che qui dura 7 giorni, e poi verso le 4 ci incamminiamo per andare a vedere il tramonto la cima alla montagna a quasi 4100 metri.
Lì c’è un luogo sacro per gli abitanti, dove in occasione della festa dedicata alla Pachamama, vengono portate delle offerte per la madre terra. Ines ci aspetta fuori perché loro possono entrare solo in quell’occasione.
Dall’alto lo spettacolo è meraviglioso il blu del lago è di un tono più scuro dell’azzurro del cielo che sono separati all’orizzonte dai ghiacciai della Cordigliera Real boliviana, intorno solo calma e silenzio…
Dopo un po’ Ines ci fa scendere e ci porta in un punto in cui il tramonto si vede ancora meglio.
Da lì possiamo ammirare la palla infuocata del sole che scende dietro le montagne boliviane e poi il rosso e il rosa all’orizzonte sono ovunque.
È ora di rientrare a casa, dobbiamo scendere per un sentiero pietroso con 150 metri di dislivello e tra poco sarà buio.
Io infatti, che sono l’ultima del gruppo a rientrare, arrivo che è già buio pesto aiutata solo dalla pila perché ormai tutta l’isola è illuminata solo dalle stelle.
Qui temperatura di giorno è calda, sei sui 25 gradi, 1 ora prima del tramonto incomincia a calare e devi mettere un maglione, 1 minuto dopo il tramonto devi mettere il piumino, da 18 si passa a in un attimo a 6/7 gradi…
Anche se siamo vicino al tropico siamo comunque in pieno inverno e sempre a 4000 metri!!!
Isola di Taquile è formata da una montagna che si alza sul lago per 300 metri e sulle cui pendici si possono ancora vedere gli antichi terrazzamenti inca. Gli abitanti tra di loro parlano ancora il quechua, l’antica lingua inca ormai praticamente dimenticata in Perù e hanno radicate delle tradizioni che il marito di Ines prima di cena ci spiega: gli uomini ad esempio sono gli unici che possono lavorare la lana a ferri, la donna solo al telaio. Gli uomini indossano cappelli di lana dalla forma di cappucci, realizzati personalmente da loro che costituiscono il simbolo di uno status sociale: il cappello rosso è indossato dagli uomini sposati, quello rosso e bianco dai celibi, mentre gli altri colori possono indicare la posizione sociale passata o attuale di chi lo indossa, poi c’è tutta una storia anche su vestiti delle donne e sulle cinture che portano in vita…
La spiegazione è molto affascinante; pensare che nel 2016, questa gente, pur avendo i pannelli solari e il cellulare, rispetta questo modo di vivere e di porsi nei riguardi della loro comunità per noi è tanto strano.
Intanto Ines arriva con la cena e poi usciamo a guardare le stelle.
Lo spettacolo è meraviglioso, con il buio totale che ci circonda sembra di poter toccare la via lattea e le migliaia di stelle che ricoprono il cielo e sembrano pulsare tutte assieme. Lo stesso affascinante spettacolo avevo potuto già vederlo in Marocco quando abbiamo dormito un paio di notti nel deserto ma qui le stelle sembrano ancora più vicine…
Alle 20.45 andiamo a letto… fa freddo e in giro non c’è molto da fare… domani colazione è alle 7.35.
La notte, anche se pensavo di morire di freddo, sotto a tutti quei strati di coperte è passata molto bene a parte qualche molla del materasso e qualche listello di legno che si infilava nella schiena quando ti giravi.
Alla mattina, dopo colazione, accompagnati da una delle figlie di Ines, il gruppo decide di scendere alla spiaggia, tra andata e ritorno sono 3 ore di cammino, noi decliniamo l’invito e giriamo un po’ l’isola per conto nostro, ci ritroveremo per pranzo e per scendere al porto per prendere la barca che ci riporterà a Puno.
In piazza continuano i festeggiamenti e le danze per il Santo patrono, noi girovaghiamo in cerca di punti panoramici per fare un po’ di foto. Tutto intorno pace e tranquillità solo il cinguettio di uccellini e il belare di qualche pecora…
Passando per le vie del centro del paese troviamo delle donne che arrostiscono degli spiedini di carne e patate, decidiamo di non mangiare da Ines ma di darci allo street food… e infatti sono buonissimi… Io non vorrei mai rientrare perchè ogni angolo, ogni scorcio è bellissimo e merita una foto.
Ci fermiano come ultima sosta a bere qualcosa sulla terrazza di un ristorante vicino alla piazza principale, da lì il panorama sul lago ti lascia lascia senza parole… Ormai il tempo a nostra disposizione è finito e sicuramente gli altri sono già rientrati dalla spiaggia perciò torniamo sui nostri passi e rientriamo. Verso le 2.30 partiamo per scendere al porto, in realtà prima devi salire in cima alla montagna per poi discendere dall’altra parte su un sentiero di pietre con 500 scalini…
Quando arriviamo al porto della nostra barca che doveva riportarci a Puno non c’era traccia, aspettiamo più di mezz’ora ma non arriva nessuno.
Ines preoccupata a quel punto ci suggerisce di prendere con 20 soles il trasporto pubblico e ritornare a Puno assieme a lei, ad altri abitanti dell’isola e al gruppo di italiani con cui abbiamo condiviso questi due bellissimi giorni.
Restare lì ad aspettare ancora la nostra barca voleva dire rischiare di dormire un’altra notte a Taquile perché fino al giorno dopo non ci sarebbero stati altri mezzi per raggiungere la terraferma.
Ennesima conferma che dei tour organizzati è bene non fidarsi e lasciarli agli altri… ed é proprio vero che chi fa da sè fa per tre!!!
Rientriamo in albergo il tempo di mettere giù gli zaini e con un risciò andiamo in centro per trovarci con una coppia conosciuta a Taquile per concludere la serata in un ristorante con specialità peruviane.
La mattina dopo alle 6 abbiamo il pullman che ci porterà a Cuzco, l’ombelico del mondo.